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	 Ecco il racconto di una studentessa della nostra scuola! Nel prossimo numero 
	il racconto di un altro studente.
 
	INCIPIT: Entro nella 
	Basilica di Sant’Andrea… 
 Entro nella Basilica di Sant'Andrea. Non mettevo piede in una chiesa da 
	quasi tre anni. Da quando quel tragico venerdì mi fu strappato l'unico amore 
	della mia vita. Non dimenticherò mai quel giorno.
 Le urla della gente, gli spari e le sirene della polizia. I suoni sono 
	ancora nitidi nella mia mente. I suoni dell'ultima volta che lo vidi. 
	L'ultima volta che restai vicino a lui. Vicino al mio Carlo. E pensare che 
	la giornata era iniziata regolarmente, in tutta la sua semplicità. Carlo mi 
	stava aspettando come al solito in cucina per la colazione. Aveva preparato 
	le sue speciali ciambelle, che avevano il "potere" di darti la carica.
 Era un uomo molto robusto, agile e scaltro; trovava sempre una soluzione ai 
	suoi problemi. Era molto intelligente e amava aiutare le persone. Era 
	proprio per questo motivo che aveva scelto di fare il poliziotto. Nonostante 
	il suo lavoro era una persona calma e tranquilla. Non avrebbe mai fatto male 
	a nessuno.
 Tutto l'opposto di me. Impulsiva, orgogliosa e testarda. Non ammetto quasi 
	mai di aver torto. Ho un carattere molto forte e difficilmente mi faccio 
	mettere "i piedi in testa" da qualcuno. Prima della morte di Carlo facevo 
	l'impiegata statale a Milano. Era un buon lavoro, anche se il mio grande 
	sogno era quello di prendermi cura delle persone.
 Scesa in cucina lo trovai al tavolo intento nella creazione delle sue 
	fantastiche ciambelle.
 - Buongiorno, dormito bene?- chiesi scendendo le scale.
 - Come un ghiro! Ti ho preparato le tue ciambelle preferite -  rispose 
	lui.
 - Carlo, ma mi vuoi proprio viziare?
 - Certamente! - rispose lui con un sorriso. Il suo sorriso, che poteva 
	rendere luminosa una giornata di pioggia.
 - Oggi hai impegni? Volevo che pranzassimo insieme!
 - Non posso, mi ha telefonato il commissario, devo andare insieme a Marco a 
	fare un ispezione. Mi dispiace
 - Non ti preoccupare, vuol dire che ceneremo insieme!
 Magari fosse andata a finire così. Le ore del pomeriggio trascorsero 
	normalmente, finche quella telefonata...
 - Signorina, sono il Commissario. Il suo fidanzato faceva parte di una 
	operazione di polizia. C’è stato uno
 scontro a fuoco con i malviventi. Purtroppo il suo fidanzato è rimasto 
	ferito mortalmente. Abbiamo fatto il
 possibile, ma non siamo riusciti a salvarlo…
 Nel giro di un minuto tutta la mia vita fu stravolta, pensavo che nulla 
	sarebbe più stato come prima. Erano trascorsi due anni dalla morte di Carlo; 
	io mi ero trasferita a Vercelli e tentavo di ricominciare una nuova vita. 
	Avevo trovato un buon impiego presso un ufficio immobiliare come segretaria 
	e avevo trovato delle amiche che mi stavano vicine. Una di queste si chiama 
	Mara, è infermiera nel reparto pediatrico ed è grazie a lei che ho 
	ricominciato a vivere.
 Nonostante avessi un buon lavoro e molti amici c'era un vuoto incolmabile 
	nel mio cuore. La mancanza di Carlo si faceva sentire sempre di più. I miei 
	amici cercavano in tutti i modi, purtroppo senza successo, di farmi condurre 
	una vita normale. Sembrava che ormai non mi importasse più niente. Finché un 
	giorno la mia amica Mara mi disse:
 - Valeria non posso più vederti così,devi cercare di reagire! La vita 
	continua, non puoi restare attaccata al ricordo di Carlo.
 - Lo so, Mara, ma io non ci riesco
 - Senti. Questo è un numero di un'associazione di volontariato sono sicura 
	che occupandoti degli altri riuscirai a ricominciare -
 - Mara non so se...
 - Non lo saprai mai se non provi! - rispose lei con un sorriso.
 -V a bene, ma lo faccio solo per farti contenta!
 Anche se non capivo cosa avrei potuto offrire agli altri, io che non 
	riuscivo accettare la scomparsa di una persona che amavo. Restai a 
	riflettere per alcune ore, quando finalmente decisi di telefonare 
	all'associazione di volontariato. Arrivata all'ospedale, salì la scala in 
	fondo al corridoio dell'ingresso; mi sudavano le mani ed ero agitata. Mi 
	avevano assegnato al reparto pediatrico per aiutare i bambini malati. La 
	bambina che dovevo assistere si chiamava Alice. Era una bellissima bambina 
	bionda, con due profondi occhi verdi; era di carnagione chiara, minuta ma 
	molto alta per la sua età.
 Alice aveva solo nove anni e un male incurabile; era nata con una 
	malformazione al cuore che le procurava fortissime dolori al petto che la 
	costringevano ferma a letto. I suoi genitori avevano fatto di tutto per 
	farla guarire, purtroppo l'unico modo era un trapianto di cuore. La lista 
	d'attesa era lunghissima e i genitori della piccola avevano ormai perso le 
	speranze. Solo Alice sembrava non essere sconvolta. Mi aveva sorpreso fin 
	dal nostro primo incontro, pur essendo consapevole della sua tragica 
	condizione non sembrava preoccupata della sua situazione.
 All'inizio pensavo che non se ne rendesse conto ma scopri presto che non era 
	così. Alice era una bambina molto dolce e simpatica, anche se non parlava 
	molto con gli altri bambini e passava ore nella sua stanza a disegnare. Era 
	il suo modo di reagire alla malattia: disegnare. Nei suoi disegni c'erano 
	sempre bambini sorridenti che giocavano con i loro genitori. Purtroppo i 
	genitori di Alice non andavano a trovarla molto spesso, non riuscivano ad 
	accettare la malattia della figlia; con il passare del tempo rimasi l'unica 
	persona a rimanere accanto alla piccola. I segni della malattia si fecero 
	sempre più vivi nelle settimane successive. Il suo viso era sempre più 
	pallido e le sue condizioni di salute peggioravano, i medici avevano paura 
	di un improvviso attacco cardiaco.
 Quando andai a trovarla il suo viso era molto pallido, nonostante il suo 
	aspetto mi rivolse un gran sorriso vedendomi entrare nella stanza.
 - Ciao - mi disse - pensavo che non arrivassi più!
 - Non potrei mai lasciarti da sola. Come stai? - le chiesi temendo la 
	risposta.
 - Meglio. Prima mi faceva male il fianco ma il dottore mi ha fatto una 
	puntura e adesso non mi fa più male
 Le risposi sorridendo. Le restai accanto per quasi due ore, all'improvviso 
	ebbe una forte crisi e finì in coma. Alice non dava segno di riprendersi. 
	Ero disperata. Non sapevo che cosa fare. Confusa, uscii dall'ospedale e mi 
	misi a camminare per calmarmi un po’, sempre più svelta. Fino a  che 
	non mi ritrovai davanti alla chiesa di Sant'Andrea. Metto piede in una 
	chiesa dopo due anni dalla morte di Carlo, ma stranamente non provo alcuna 
	tristezza.
 L'unica mia preoccupazione è la vita di Alice. Spero che lei si riprenda. E' 
	da tanto tempo che non provo gioia nello stare accanto a una persona come a 
	lei. Prego con tutto il mio cuore che si risvegli. All'uscita della chiesa 
	sento il mio telefonino squillare.
 - Ciao Valeria, sono Mara. Ho delle buonissime notizie: Alice è fuori 
	pericolo
 - Grazie al cielo! E adesso come sta? - rispondo con la voce che mi trema 
	dalla gioia.
 - Sta ancora dormendo. Ma le sue condizioni sono stabili
 Riaggancio e tiro un sospiro di sollievo. E' fuori pericolo. Ringrazio il 
	cielo per questa meravigliosa notizia. Dopo due anni di solitudine ritorno a 
	vivere grazie ad una bambina stupenda che mi ha insegnato a non perdermi mai 
	d'animo, anche quando la vita sembra difficile e non sembra avere vie 
	d'uscita. E a fidarmi delle persone che mi stanno accanto. Con gli occhi 
	pieni di lacrime mi incammino verso l'ospedale, pronta a ricominciare una 
	nuova vita.
 
	  
	 Cristina 
	(2B) |  |